Il Bengala era entrato presto e prepotentemente nella mia vita, quando ero ancora poco più che un bambino, con tutta la forza dirompente e il magico incanto dei racconti esotici e misteriosi di Salgari, e Verne e Kipling e Conrad. Grazie alle loro storie di romantiche avventure in giungle impenetrabili e tenebrose, il Bengala era diventato il primo "topos" delle peregrinazioni irrequiete della mia febbrile fantasia di adolescente. Era diventato il luogo per eccellenza dell'avventura in terre ignote e lontane, dove rifugiarsi per sfuggire alla claustrofobia, alla normalità della routine quotidiana, che, già allora, da bambino, mi appariva così insopportabilmente piatta e banale... Con un po' di fortuna e qualche compromesso, imposto da prosaici condizionamenti materiali, sono poi riuscito a tradurre, almeno in parte, nella realtà della vita vissuta da adulto, i miei sogni di viaggio e di avventura nutriti da bambino. Sono riuscito a visitare i posti che Salgari aveva potuto solo sognare. E, naturalmente, tra le "visitazioni" più approfondite e ricorrenti, vi sono state quelle con cui, in una serie di viaggi e soggiorni a più riprese lungo un arco di tempo di circa trent'anni, ho praticamente "esplorato" palmo a palmo le giungle del Sundarbans e tutto il resto del Bengala. Ed è questo Bengala "vero", il Bengala capito e conosciuto negli anni della mia maturità e della mia vita in Bangladesh, che, insieme al Bengala acerbo delle "giungle nere" della mia prima infanzia, si affaccia nelle foto di questo libro. È il Bengala delle migliaia e migliaia di villaggi disseminati tra le infinite risaie, spesso appollaiati tra palme e banani su qualche piccola increspatura o rialzo del terreno, che ogni tanto interrompe la monotona piattezza delle piane alluvionali, ed i cui pochi metri di dislivello possono costituire la differenza tra la vita e la morte quando, con cadenza pressoché regolare, tutto il resto si allaga. Chi ha avuto occasione di entrare in uno qualsiasi di questi villaggi, non importa quanto povero o remoto, conosce la straordinaria gentilezza e ospitalità con cui si è sempre accolti e ricevuti, con un fiore, con una brocca d'acqua o un povero dolce.